Il Gruppo di Lettura “Parole in Giardino” si è incontrato sulla piattaforma Zoom giovedì 26 gennaio  2023  per parlare del libro “Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli e dell’omonima  mini serie televisiva su Netflix.

Daniele Mencarelli con il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori) è risultato vincitore della settima edizione del Premio Strega Giovani 2020.

La lettura del libro e la visione della  mini serie hanno coinvolto tutte le lettrici in una conversazione appassionata, ricca  e articolata di riflessioni, suggestioni, esperienze.

Durante la discussione abbiamo raccolto delle tematiche e parole chiave espresse da tutte che abbiamo sintetizzato così.

 

 


INCIPIT di Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli

«Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!» Nero e ancora nero. Questa deve essere la morte.

«Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!»

Odore di bruciato, sempre più forte, il calore che diventa fuoco, arde. Spalanco gli occhi sul mondo come fosse la prima volta, a fatica riesco a tenerli aperti, ma soltanto per poco.

«Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!»

Accanto a me ritrovo uno sconosciuto, sembra san Francesco, solo allucinato, sporco, secco da fare paura, ha un accendino in mano. L’odore di bruciato sono i miei capelli, sta dando fuoco alla mia testa. Vorrei chiedere aiuto, ma non ce la faccio, è come se il cervello non riuscisse a comunicare con il resto del corpo.

Un urlo di ragazza strepitante esplode nell’aria, mi volto, esce dalla bocca di un quarantenne, ha i capelli rossicci tinti, pochi, completamente rivoltati da una parte, urla ancora: «Pino!! Pino!! Madonnina sta a da’ fòco a quello nòvo!!» L’infermiere è una pancia che cammina, tutto bianco, si affaccia dalla porta, quando vede cosa sta succedendo aumenta il passo. «’Sto fijo de ’na mignotta, e ’ndo cazzo l’hai trovato ’st’accendino.»

Mencarelli, Daniele, Tutto chiede salvezza (Italian Edition) . MONDADORI. Edizione del Kindle.


Come di consueto, riportiamo di seguito alcuni appunti  di discussione e di approfondimento  utili  per chi ha partecipato e per chi non ha potuto partecipare, per chi ha letto il libro e per chi non ha potuto leggerlo.

Alla base del disagio esistenziale di Daniele, il protagonista di “Tutto chiede salvezza “ di Daniele Mencarelli, ci sono le domande che in modo ossessivo si fa sul senso della vita e l’incapacità di trovarne risposte. Daniele ha vent’anni ed è prigioniero di una forte sensibilità, prostrato dal pensiero della sofferenza “possibile che nessuno si accorge che “semo come na piuma?” (28). Non è in grado di gestire il disordine dei suoi pensieri e dei suoi impulsi, di rispondere al perché di tanto dolore nel mondo, da anni cerca disperatamente la salvezza per se’ e per tutti. L’uso delle “sostanze”, che al momento sembrano allontanarlo dall’assillo di certe idee fisse, come quella della morte, è un boomerang (44) e fanno sfociare il suo comportamento in esplosioni di rabbia e di distruzione, come nell’ennesima crisi (29) in cui devasta la casa e manda il padre in ospedale, crisi che rende inevitabile il trattamento sanitario obbligatorio. Leggo queste pagine del libro con angoscia perché sento lo sconforto di Daniele che descrive in prima persona il diario di ogni giornata nel reparto psichiatrico: lontano da casa, dagli amici, in lotta con il sonno notturno(38), con i suoi e gli altrui dolori (52). Scrive: “io qua dentro ci impazzisco, quello che non sono riuscito a farmi da solo, lo finirà questo TSO” (75). Penso ai tanti giovani che sempre in numero maggiore soffrono di ansie depressive e altre patologie peggiori, come hanno denunciato recentemente i direttori dei dipartimenti di psichiatria italiana (vedi repubblica 14/1/2023).

L’ambiente dell’ospedale non aiuta Daniele: i medici che lo interrogano sui suoi turbamenti non li sente partecipi; uno il dottor Mancino è disamorato, sgarbato, spesso distratto (17,93), l’altro il dottor Cimaroli, più umano, è stanco e stressato per il troppo lavoro. Gli infermieri sono svogliati nelle loro mansioni, rozzi nel modo di trattare i ricoverati (13, 24, 53,87,..), il cibo è immangiabile (74,102, 167).

E poi gli odori, anzi la puzza, della stanza: “dal pannolone di Madonnina ai piedi giganti di Giorgio, dai capelli scoloriti di Gianluca alla vestaglia invernale ( siamo a giugno e l’afa imperversa) di Mario (81). Daniele entra in bagno solo quando è davvero necessario: “…tutto mi schifa, …quando sto dentro cerco di respirarci il meno possibile. Faccio fatica anche a pisciarci ” (75). La salvezza che cerca Daniele sembra sempre più lontana.

Eppure andando avanti con la lettura scopro che da un contesto così ben descritto dall’Autore nella sua criticità – contesto simile a quello di molte realtà sanitarie romane – emergono aspetti che come veri punti di luce renderanno sopportabile il TSO e aiuteranno Daniele a superare la sua crisi.

Un primo elemento positivo è la famiglia, con cui Daniele ha un forte legame affettivo. Tenero è il rapporto con la madre alla quale evita la sofferenza di vederlo in quell’ambiente (35,71,153), solido è il rapporto con il padre e con i fratelli , che lo sostengono e l’aiutano. Al confronto con gli altri ricoverati della stanza, Daniele è ricco di attenzioni, di protezione, di amore da parte dei suoi. Infatti alla madre che in una telefonata gli chiede come sta, risponde “qui dentro …c’è na sofferenza che non pensavo esistesse, io rispetto a loro c’ho voi, loro c’hanno solo la malattia (128). Il nostro protagonista sente questo affetto da parte della famiglia, e vuole guarire a tutti i costi, spera nelle cure, nella chimica, nella pasticca giusta, come gli dice il medico(32), vuole “ tenta’ de sta mejo, stare male è brutto, e io non vojo più sta male”(67). E ancora:”Santa medicina, custodiscimi e governami, fammi diventare normale, fammi meritare la mia casa. Amen “(71).

Nei momenti di difficoltà Daniele da tempo trova un certo sollievo nella scrittura: confessa al dottor Cimaroli di scrivere poesie fin dalla terza media “ho capito che la scrittura non è un gioco, ‘na noia… è l’unico mezzo che può racconta quello che vedo, che m’esplode dentro” (63).

Durante il TSO si rifugia nell’immaginazione per dare alla mente un altro orizzonte: “mi ritiro nel bianco della pagina, a tradurre in parole il ricordo di mia madre” (101). Si compiace di quanto scrive e ringrazia la poesia “per essere venuta ancora una volta a trovarmi”(102).

Mi sono commossa per il clima di solidarietà e amicizia che si sviluppa tra Daniele e i compagni della stanza: dalla rinuncia alla mela cotta da parte di tutti (20) per darla a Mario che mangia solo quelle, alla tenuta della mano di Giorgio che non riesce ad addormentarsi (135), all’aiuto all’infermiere per pulire Madonnina (97), alla recita improvvisata alla vista della nave di crociera (133), alla preghiera al Signore per salvare Mario (173).  In questi momenti di vissuto comune, Daniele avverte un piacevole senso di fratellanza e di gratitudine nei confronti di persone così diverse, ma tutte unite dal bisogno di salvarsi (170). Scrive: “Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli”.

Importante, secondo me, è anche il rapporto che stabilisce con Mario, ricoverato perché perseguitato da ricordi e incubi notturni (89). Mario incita Daniele a lavorare su se stesso, pur fidandosi dei medici e dei farmaci (72 e73), esprime una forte critica nei confronti della scienza che spesso invade ambiti che non le appartengono, senza risolvere i problemi della mente (47), e ridimensiona il concetto di disturbo mentale a caratteristica della persona: “ un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. È da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi” (106,107). Questi discorsi confortano Daniele, lo esortano a non farsi divorare dalla paura (141), lo allontanano dal panico e lo fanno riflettere ancora una volta sul suo malessere: “davanti a Mario i miei vent’anni si dimezzano, mi rivedo a mala pena decenne, ogni volta le sue parole toccano parti del mio corpo di cui ignoravo l’esistenza”(143).

La durezza dei sanitari che, senza alcuna umanità, impediscono a Daniele e ai compagni di vedere Mario, infortunatosi gravemente, fa emergere ancora una volta la carenza del sistema sanitario di psichiatria (molto valido il libro anche per questa denuncia!) che non si apre alla pietà , non favorisce il dialogo con le persone (187). Daniele capisce finalmente che non è poi così grave lasciare irrisolti gli interrogativi che gli hanno provocato tanto doloroso disagio, è molto meglio comprendere le infelicità degli altri piuttosto che sentirsi padrone di tutte le risposte (188) senza un briciolo di pietà.

Ritengo che l’amore della famiglia, la volontà di guarire, la fratellanza con i compagni, i discorsi di Mario, tutto abbia contribuito ad alleggerire Daniele dalla pesantezza del TSO. Alla fine dei sette giorni Daniele ha recuperato una accettabile condizione di esistenza, esce dall’ospedale con la voglia di essere solo nella sua trovata lucidità, con la voglia di camminare, respirare, riappropriarsi del suo essere, continuando a lottare per la salvezza. Daniela C.

Ho trovato il romanzo molto scorrevole e coinvolgente anche in considerazione della velocità e facilità di lettura per lo stile semplice ed incalzante con cui è scritto.
Mi ha trasportata in una dimensione nuova, dolorosa, a tratti angosciante, che però ha in sè i germi della “salvezza” anche se sembrano nascosti, nonostante tutto, al protagonista.
Forse è davvero un discorso molto complesso sul confine sottilissimo tra sanità e follia. D’altronde non possiamo dire quasi tutti di aver attraversato nella nostra vita questo posto dell’anima soprattutto in età adolescenziale?
Al termine della lettura mi resta una sensazione di turbamento….
Ho sottolineato vari passaggi: pag. 72 “Il resto sei tu, il modo in cui le cose, la forza con cui la vita ti arriva, negli anni capirai che non è tutto un male”.
Pag. 143 “ non lo sanno questi uomini, ma la nostalgia che sentono di fronte alla bellezza è nostalgia di quel prima, del paradiso. Di Dio“…“Curati. Chiedi aiuto quando serve. Ma lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno“.
Pag. 153“Essere uomini non significa scalare le montagne, ma avere la consapevolezza che ogni gesto ha un valore, nel bene come nel male”…“Se non riesci a volere bene a te stesso non potrai mai volere bene a nessuno“.
Pag 167 “oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni persona incontrata, ogni discorso di realtà inedito”. Lidia L

Il personaggio Mario in tutto il racconto pronuncia le parole più sensate: (pag 56) “questi sono posti che non vanno a braccetto con la ragione…”. È ancora Mario che spiega con logica stringente, frutto della sua esperienza anche di maestro, al tempo in cui la follia per lui era appena agli esordi: “ non esiste un farmaco che ti farà guarire”  ( pag 73 ); “ stamani ti ho detto che i medici che studiano la mente, per me sono degli stregoni…” e arriva ad esporre la teoria medica sull’autismo quando si parlava di mamme frigorifero. 

Fortunatamente l’ispirazione poetica aiuta Daniele che decide di scrivere poesie;  per tutto il tempo in cui scrive versi dedicati alla madre, dimentica di essere in trattamento TSO. “ Sei sempre tu che vieni a prendermi “. Allora si potrebbe anche parlare di questo verso che può acquisire un significato particolare, molto più profondo di quello che appare. Da dove viene a riprenderlo la madre? Diventa poco a poco consapevole che l’arte lo può aiutare, come molti altri artisti nel tempo hanno potuto constatare, tanto da non sapersi allontanare dalla loro passione.  Ma l’autore ancora non è preso totalmente da questa passione artistica e quando pensa, nel cuore della notte e non riesce a dormire, tutto ciò che riguarda i suoi compiangi di stanza gli fa montare la rabbia: la rabbia lo seduce , monta nelle sue vene, e con lei si manifesta anche l’odio per tutti loro, soprattutto per quello che essi rappresentano, cioè il suo futuro. ( pag 89) 

Scopre che Mario, tanto saggio e tanto umano, è il più pericoloso dei suoi compagni e prova nei suo confronti un forte risentimento (pag. 89). D’altra parte prende coscienza che tutta la sua vita è stata un susseguirsi di occasioni perse, soprattutto con le numerose ragazze che ha frequentato e con le quali si è sempre comportato da immaturo .

Questa presa di coscienza appena comparsa alla sua mente viene consolidata a pagina 152 dal racconto che fa a sua madre di Valentina, dimostrando ancora una volta che non ha mai saputo distinguere il bene dal male, prendendo tutto alla leggera e non considerando quali conseguenze avrebbero potuto avere gli scherzi fatti con gli amici. 

È a questo punto che il personaggio della madre sempre presente fra le righe del testo e nella mente di Daniele, appare nella realtà per rimproverarlo aspramente per la sua leggerezza. Le parole materne sono proprio quelle che ogni mamma direbbe al proprio figlio per esprimergli con il suo amore anche il suo rammarico.

A questo punto il lettore ha la sensazione che tutto ciò che è accaduto nella vita e nella mente di Daniele sia avvenuto giusto per passare il tempo, tuttavia nello stesso tempo si rende conto che questi giorni in TSO accompagnano anche il protagonista verso nuove emozioni più piene, che lo portano a riflettere su se stesso e sulla vita che fino a ieri non aveva saputo approfondire. 

Aveva pensato certamente che il dolore fosse il continuo ed unico compagno della vita, ma anche questo soprattutto con un sentimento egoistico, come se tutto potesse accadere a lui e non agli altri.

Anche la figura paterna è bene introdotta e arricchisce il racconto di un’altro elemento di equilibrio non solo narrativo ma anche determinante, nel peso che l’immagine del protagonista ha nel racconto. 

Il personaggio del padre è molto bello ed importante. Ha rischiato di essere ucciso dalla rabbia del figlio. Appare fisicamente per la prima volta nel diario, con la semplicità delle anime forti riesce con la sua sola presenza a rendere consapevole Daniele del suo comportamento vergognoso. Dall’uno all’altro nell’ abbraccio corre un’unica emozione e, quasi per miracolo, col suo sguardo il padre agisce sulla rabbia che in quel momento già sta montando nel figlio contro un infermiere e gli fa capire che può essere dissipata con la coscienza, solo perché un qualsiasi giudizio non deve essere considerato tanto importante. Il protagonista si convince che solo l’ispirazione può sedare il suo dolore di sempre. Questo sempre “ci autorizza a pensare” che forse la droga aveva lo scopo di sconfiggerlo. Anche se l’autore non vi ha mai accennato ed ha sempre  presentato la droga come abitudinaria.

Il testo è scorrevole; i capitoli suddivisi secondo i giorni della settimana facilitano la comprensione dei problemi e scandiscono il tempo che passa nelle attività del reparto. 

Mi è molto dispiaciuto che l’autore abbia dedicato numerose pagine alla droga, alla sua assunzione settimanale ecc ecc. ritengo che sia questo un libro che possono leggere anche i giovani, e questo non è per me una  lettura adatta a loro. 

Probabilmente questa mia considerazione iniziale ha pregiudicato il giudizio che ritengo in conclusione negativo su questo romanzo. Federica Z.

Il libro mi è piaciuto molto perché è autobiografico e lo scrittore è riuscito a raccontare un periodo della sua vita durante la quale fa abuso di droghe, manifesta la sofferenza del vivere, la propria sofferenza, quella che nota negli altri e quella che procura agli altri ed ai suoi cari.

Descrive il suo stato depressivo e l’angoscia esistenziale che lo perseguita. Appare affogato nel proprio dolore e dal rimorso di aver fatto soffrire gli altri, e comunque alla fine riesce a trovare una via di uscita, chiedendo perdono per tutte le colpe, per le sue e per quelle degli altri, implorando salvezza per sé e per tutti.

Mi è piaciuta la serie televisiva che ha saputo cogliere ed interpretare molto bene gli stati d’animo e le emozioni dello scrittore.

La lettura è piacevole con i dialoghi in dialetto romanesco.

Una sera d’estate del 1994, Daniele a vent’anni, dopo una triste giornata di lavoro, esce con gli amici, fa abuso di cocaina e tornando a casa ha una crisi nervosa violenta durante la quale spacca tutto e picchia il padre.

Si ritrova in ospedale, nel reparto di psichiatria in regime di TSO e non ricorda come ci sia finito. Riaffiorano i ricordi, il dolore procurato ai genitori ed in particolare alla madre.

nessuno s’accorge che semo come ‘na piuma? Basta ‘no sputo de vento pe’ portacce via”(pag.28).

Basta un attimo e tutto puo’ cambiare! E Daniele si trova in un reparto psichiatrico, in regime di TSO.

Lo scrittore  è riuscito a raccontare una esperienza difficile e drammatica come la malattia mentale.

E’ un libro di denuncia e di speranza in quanto alla fine si nota la volontà di uscire dal tunnel della droga e della malattia mentale, magari non guarito, ma consapevole di aver bisogno di un difficile percorso di recupero/riabilitazione.

Le tematiche e le riflessioni che emergono da questa lettura sono tante e diverse.

Emerge il difficile rapporto con i genitori ed i familiari.

Il papà di Alessandro non si spiega lo stato catatonico del figlio, chiuso in un coma che non lo fa vivere né morire; i genitori di Gianluca non accettano l’omosessualità del figlio.

La madre di Daniele è affettuosa ma impotente e triste di fronte alla infelicità del figlio. Per telefono gli dice in un simpatico dialetto romanesco: “so due anni che giriamo, nessuno c’ha capito niente, li dentro magari riusciranno a capì che è che te fa tanto soffri, perché un ragazzo de vent’anni dovrebbe essere felice, e tu invece vai avanti a tristezza non sapemo piu’ che fà pè levattela de dosso”(pag.21-22). Appare comunque fiduciosa in questo ricovero e Daniele le dedica una breve e dolce poesia (pag.126).

“…chissà i miei amici cosa stanno facendo…questa settimana iniziano i mondiali di calcio…Di questo TSO non devono sapere niente, non capirebbero, m’inventerò qualcosa, una  settimana improvvisa di lavoro, un corso lontano da casa” (pag.35).

Daniele non deve far sapere ai suoi amici di questo TSO, sarebbe vergognoso!

Invece durante questo breve ricovero forzato di sette giorni, condividendo lo stanzone,  con cinque persone malate, sconosciute, in una calda estate, in un ambiente puzzolente, riesce ad avviare un’amicizia sincera, a confidarsi e a comprendere le fragilità degli altri.

se i miei amici sapessero il vero luogo in cui mi trovo, ed il motivo, sarei semplicemente rovinato. Perderei tutto…A parte la mia famiglia, che conosce e subisce, nessun altro è al corrente della mia vera natura. I medici non fanno testo… in realtà c’è anche qualcun altro… sono i cinque pazzi con cui ho condiviso la stanza e questa settimana della mia vita. Con loro non ho avuto la possibilità di mentire, di recitare la parte del perfetto, mi hanno accolto per quello che sono, per la mia natura così simile alla loro. Con loro ho parlato di malattia, di Dio e di morte, del tempo e della bellezza, senza dovermi sentire giudicato, analizzato… Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”(pag.106-107-108; pag.169-170).

E’ importante il confronto con le problematiche psichiatriche della altre persone. Le loro storie drammatiche lo aiuteranno a riflettere e comprendere le sofferenze degli altri, e lo porteranno, infine, a chiedere perdono per sé, a perdonare gli errori degli altri e le fragilità delle istituzioni. Chiede salvezza per tutto, in quanto tutto necessita di perdono e può essere salvato.

Importante la figura di Mario, il maestro elementare di 64 anni ricoverato, che mangia solo mele cotte, che gli dice “Oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio… ormai tutto è malattia… Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi” (pag.106-107).

Inoltre lo conforta dicendogli:“Curati. Chiedi aiuto quando serve. Ma lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno” (pag.143).

Coinvolgente e traumatico è l’incontro con le ragazze del reparto femminile:

Nina nella serie televisiva, che ha tentato il suicidio e appare bloccata in una vita che non ha scelto e Valentina – nel libro – che gli fa capire quanto dolore si può procurare per una “ragazzata”, come la definisce lui.

Valentina gli mostra un anello che non si è mai tolta da anni, regalato da un ragazzo, Francesco, che ha abusato di lei e poi scomparso. Ora Valentina sbatte la testa al muro, mangia il cartone e aspetta ancora il ritorno di Francesco, da sei/sette anni.

Daniele ricorda la ragazza e l’episodio dell’amico Francesco ed è invaso dai sensi di colpa e si sente responsabile per Valentina; si ritiene “un correo della sua malattia mentale, di tutta la sua vita… Come immaginare che una ragazzata scatenasse una follia del genere’… Io so compiere gesti che fanno del male. Gesti che nella mia vita hanno transitato anonimi… ma che hanno prodotto dolore in quella degli altri. Gesti che ancora vengono scontati….gesti che hanno messo fine alla felicità di un altro essere umano.

Chiedo perdono. Per tutto il passato, il presente, per quello che verrà. Ma a chi chiederlo? Io non so perdonarmi. Non ci riesco” (pag.148-149-150).

Dal racconto emerge, inoltre, che il rapporto con i sanitari è molto deludente: con i medici in particolare.

– gli infermieri del reparto psichiatrico sono spaventati dalle possibili reazioni violente dei pazienti (pag.24-25);

– i medici risultano ”perdenti”; Daniele racconta due episodi: un medico si addormenta durante il colloquio (pag.92) ed un altro medico lo confonde con un diverso paziente per lo scambio delle cartelle cliniche (pag.122).

Di conseguenza Daniele, deluso, ritiene che i medici siano annoiati, indifferenti e disinteressati alle sue problematiche e a quelle degli altri.

Mancino si è addormentato…Mancino mi ha trasmesso il sentimento che prova per me. Qualcosa di simile a uno zero. Chi obbliga quelli come lui a esercitare la professione medica? Dov’è finita la sua vocazione…Non chiedo santi, per giunta dotati di straordinario acume clinico, ma nemmeno uomini disamorati di se stessi e di tutto il genere umano” (pag. 92-93).

Da lettrice e da medico sono sensibile a queste affermazioni e ritengo che esistono medici e medici, ed ognuno è responsabile del proprio modo di agire.

Personalmente credo che la persona da assistere necessiti di tutte le attenzioni e cure possibili. Ritengo, inoltre, che il medico non riesca a distaccarsi completamente dal vissuto e dalle malattie, psichiatriche e non, che affliggono il suo paziente; non credo che riesca ad avere una “corazza” tale da estraniarsi dalle patologie dell’assistito.

Ma Daniele chiede perdono a quelle persone che gli hanno dedicato scarsa attenzione!

Lui stesso scrive, in relazione alla reazione violenta di Giorgio contro i sanitari che non hanno prestato la giusta attenzione alla sua storia personale che ha poi scatenato la sua crisi aggressiva: ”bastava talmente poco. Bastava ascoltare…” (pag.187). Francesca E.


LA MINI SERIE TELEVISIVA

La serie televisiva in sette episodi di “ tutto chiede salvezza “ con la regia di Francesco Bruni mi è piaciuta molto. Il casting è indovinato nella caratterizzazione di tutti personaggi, le singolarità descritte nel libro per alcuni di loro come Gianluca, Giorgio e Madonnina sono abilmente interpretate dagli attori e le “ macchiette” a cui danno vita ben si adattano a stemperare l’impatto di tante situazioni dolorose.

La rappresentazione del contesto sanitario è fedele al libro per quanto riguarda la inadeguatezza dei medici e degli operatori nell’ affrontare ansia, depressioni e altre patologie mentali. Ho notato la superficialità di alcuni medici, vedasi la scena del primario che,  in frettolosa visita nella camerata, si limita ad aprire e chiudere le cartelle cliniche dei pazienti senza dire una parola ( a parte un breve scambio con Mario). Anche il film mette in evidenza un servizio sanitario carente di risorse sopratutto in termini di professionalità.

Le strutture del reparto (l’infermeria, la saletta per la tv , i corridoi) sono ambienti più che decenti rispetto a quanto si legge nel libro, dove Daniele, oltre l’aria maleodorante, lamenta la scarsa pulizia (la sporcizia è ovunque, pag 97). A proposito del corridoio ho notato poi la ricercatezza dei quadri alle pareti: non le stampe con le foto dei paesi della provincia romana (Albano, Genzano, Ariccia, Castelgandolfo) e con le foto di Roma (vedi il libro pag 97 e kilo 146), ma stampe con le tavole di Rorschach  che sono di supporto a test utilizzati per l’indagine della personalità, ben appropriate per una struttura psichiatrica.

La serie prende una sua strada fin dalla prima puntata (ogni puntata è un giorno di TSO) apportando una novità rispetto al libro con l’inserimento sulla scena di Nina,  una ragazza ricoverata per tentato suicidio. Daniele è attratto da questa sua coetanea (nella quale riconosce una compagna di scuola già a suo tempo ammirata) e vuole stabilire un rapporto con lei; Nina, neo attrice e influencer cresciuta in un mondo vacuo e privo di affetti, presenta all’inizio un comportamento isterico e disturbato, poi si lascia andare e arrivano momenti di tranquilla evasione per entrambi, come nell’ora trascorsa al parco dopo l’incendio causato da Madonnina, nella serata sul tetto ad aspettare i fuochi d’artificio….

La storia si colora di rosa, nasce un amore che in un mare così burrascoso sembra un’ancora di salvataggio per i due ragazzi. Daniele prova per Nina un interesse sincero e concreto, la svolta verso la sua salvezza comincia proprio dalla voglia che ha di stare vicino alla ragazza e di aiutarla. Per contro Nina fa fatica a ritrovare un equilibrio, ha alcune regressioni nella sua fragilità che rischiano di danneggiare anche il ragazzo al quale i medici dicono “lei sta molto peggio di te”. La prossimità delle dimissioni di Daniele dall’ospedale raffreddano il rapporto e lo congelano ad una promessa a chiamarsi “dopo”.

Il giorno in cui il TSO si conclude, Daniele trova all’uscita la mamma che è andata a prenderlo, e lui ne è ben felice. Questa è un’altra novità rispetto al libro dove si racconta – l’ho segnalato – la sua voglia di andarsene da solo. La serie da’ molto risalto al rapporto con la madre e alle reciproche preoccupazioni per il benessere l’uno dell’altro, vedi le continue telefonate a casa per cercare di parlarci, quasi a placare il rimorso per tanto dolore causato. Anche la benevola e affettuosa disponibilità del padre è molto commovente ed è un bel grimaldello per allontanarlo dai cattivi pensieri e dalla tentazione della droga, apprezzando di quanto amore sia destinatario.

La salvezza di Daniele che, come si vede nell’episodio finale sarà anche la salvezza di Nina, è affidata nel film prevalentemente all’amore per Nina e ai forti legami familiari, restando nello sfondo gli altri fattori che invece nel libro sono molto più incisivi, come per esempio i discorsi di Mario sull’importanza di impegnarsi personalmente nei propri disagi e sul ridimensionamento di certi disturbi della mente.

Sono due modalità diverse, parimenti efficaci per realizzare la salvezza. Come spesso accade nella trasposizione di un libro in versione cinematografica la storia è trattata in modo differente grazie ai maggiori strumenti a disposizione oltre la sola scrittura. L’importante è non alterare la voce personale dello scrittore, come scrive la Pitzorno a proposito delle riduzioni letterarie in Donna con libro, che abbiamo letto e commentato insieme. A proposito segnalo che nel team di sceneggiatori della serie televisiva c’è Daniele Mencarelli, autore del libro, che condividendo questa diversa impostazione nel film, ha contribuito tra l’altro ad una operazione commerciale ben riuscita, considerato il successo della serie. Daniela C.

Tutto Chiede Salvezza. Federico Cesari as Daniele in episode 105 of Tutto Chiede Salvezza. Cr. Andrea Miconi/Netflix © 2022

L’argomento trattato nella miniserie tv è delicato, impegnativo, molto ben rappresentato e calato perfettamente nella realtà che ci circonda. La storia è quella di un ragazzo, Daniele, sottoposto ad un TSO di 7 giorni a seguito di un episodio che lo ha portato ad una forma di disgregamento. Ogni puntata descrive una giornata trascorsa in clinica insieme ad un piccolo gruppo di “compagni di viaggio”. Ogni personaggio è particolare ed è portatore di una propria sensibilità.

C’è Daniele, il protagonista, sensibile ma impulsivo allo stesso tempo, pronto ad aiutare il prossimo aprendosi verso l’altro con l’ascolto e poi con i fatti (es. nei confronti di Gianluca il ragazzo omosessuale, di Nina, l’eccentrica “forzata”, di Mario, il professore).

Gianluca, il ragazzo omosessuale, si ritrova nella clinica a causa di un padre che non accetta la sua natura. Si tratta di un generale che, vergognandosi del proprio figlio, lo punisce asserendo di aver aggredito la propria madre. In realtà il ragazzo aveva semplicemente indossato i vestiti di lei e la donna, comprendendo la situazione, si è sentita male. “Sono sempre solo come un cane, invece qui nessuno mi giudica…questi 7 giorni sono stati meglio di una vacanza”. La morte del professor Mario che cade dalla finestra per dar da mangiare ad un uccellino scuote tutti. In Giorgio, affetto da seri disturbi mentali, risveglia il ricordo della madre che non ha potuto rivedere prima di morire…. ”Fatemi vedere Mario” – diceva agli infermieri.

La negazione di questo gli provoca una reazione violenta nei confronti degli operatori sanitari facendogli rimediare una detenzione nel carcere psichiatrico di Velletri. Tutti insieme (5 in totale) pregano -ognuno a suo modo-  per la sorte di Mario che, alla fine, non ce la fa. Durante il funerale Daniele legge un pensiero toccante e profondo “Quello che sento per loro è indicibile …sono fratelli offerti dalla vita …siamo tutti sulla stessa barca e nella stessa tempesta”. Molto bella è la scena in cui Daniele sussurra ad Alessandro (in coma per un incidente) che esiste una “parola che contiene tutto…devi solo trovarla Alessandro…” La parola è SALVEZZA “Tutto chiede salvezza”. La relazione con Nina, che in qualche modo costituisce il filo conduttore della storia, è centrale: la ragazza incarna un ideale di perfezione ”forzato” perché è la madre che la spinge verso il mondo dello spettacolo provocandole una forte depressione che la spinge a tentare il suicidio. Successo e solo successo costituiva l’obiettivo della madre incurante dei sentimenti della figlia gettata tra le braccia di un produttore. Naturalmente il suo TSO doveva essere nascosto al pubblico e viene mascherato con un ipotetico viaggio a Parigi. Quando la ragazza scopre la sua vera essenza rivela la verità sui social mostrando anche le ferite ai polsi. Con Daniele invece (disprezzato dalla madre di lei) si sente a suo agio e naturale. C’è molta tenerezza nella frase di Daniele quando dice di aver paura di tornare fuori. “Lì c’è un piccolo campionario di follie”. La storia termina con l’infermiera di colore che consegna a Daniele un libro del poeta maledetto Rimbaud che Mario le aveva consegnato con lo scopo di donarlo a Daniele esattamente prima di morire. Si tratta di “Une saison en enfer” l’emblema del pensiero del poeta rivoluzionario francese. Così Daniele legge sulla parete dietro il letto di Mario “Je est un autre”(io è un altro), quattro parole che racchiudono il pensiero di Rimbaud che poi è la vera essenza di ciascuno dei personaggi della storia. Daniele dirà infine, quando lascia la clinica “Ciao Alessandro…che tu possa tornare su sta terra”…La vera pazzia è non cedere mai i compagni di viaggio “piangono quando amano e ridono quando soffrono”.In realtà il TSO ha “regalato” a ciascuno di loro la vera LIBERTA’. Monica B.