ll Gruppo di Lettura “Parole in Giardino” si è incontrato sulla piattaforma Zoom giovedì 9 Marzo 2023 per parlare del libro “L’ora del caffé – Manuale di conversazione per generazioni incompatibili” di Gianrico e Giorgia Carofiglio.
Trama
Giorgia e Gianrico Carofiglio si sono seduti a un tavolo e hanno affrontato con occhi nuovi alcuni degli argomenti che piú li hanno divisi. Questioni che riguardano ciascuno di noi come il clima, il femminismo, il cibo. La politica. Non hanno eliminato tutte le loro divergenze, ma hanno elaborato una serie di ragionamenti – veri e propri saggi brevi, tessere di un mosaico sorprendente – in cui si combinano entrambi i punti di vista. Una scommessa audace e allegra sulle possibilità di un linguaggio comune, di un’idea condivisa del mondo e del futuro.
Incipit
La prima di tutte le nostre discussioni alla pari è nata da una decisione: quella di non mangiare piú carne. Come dice l’intro di una fortunata serie tv, «questa storia è del tutto vera, tranne le parti completamente inventate». Le cose sono andate piú o meno cosí. Una famiglia (in questo caso, la nostra) si riunisce dopo mesi. Entrambi i figli vivono in città diverse, se ne sono andati anni prima. È Pasqua: il piatto principale è l’agnello, com’è sempre stato. Mentre sono tutti seduti a tavola, la figlia annuncia che lei non lo mangerà: la carne, non la mangerà piú. C’è un attimo di silenzio, la madre si alza, prende il piatto alla figlia. «Magari saperlo prima…» le dice. Il padre è perplesso, ma non parla. L’altro figlio si arrabbia: «Che significa: non mangerà piú carne? E il pesce? Non si rende conto di essere ipocrita?» La madre subentra: che cosa intende mangiare d’ora in poi? Chi le ha messo in testa un’idea del genere, di punto in bianco? La figlia replica che è una sua decisione, non sono fatti loro, non ha senso innervosirsi – anche lei in realtà si sta innervosendo e non poco – per una cosa che non li riguarda, che è una scelta personale. Il padre le chiede: «Ma perché?»
La lettura del libro ha destato molto interesse tra i componenti del gruppo che hanno espresso una varietà di interventi a volte contrastanti.
Come di consueto, riportiamo di seguito alcuni appunti di discussione e di approfondimento utili per chi ha partecipato e per chi non ha potuto partecipare, per chi ha letto il libro e per chi non ha potuto leggerlo.
Abbiamo preso l’abitudine ad iniziare l’incontro esprimendo quelle che a nostro avviso sono le parole chiave del libro che guidano la condivisione delle riflessioni durante la discussione sul libro. Cerchiamo, poi, di raccogliere in un unico pannello le parole che, espresse da ciascuno di noi, riescono a dare una significativa visione di insieme del libro.
Gli otto capitoli dell’ Ora del caffè di Gianrico e Giorgia Carofiglio sono il risultato di conversazioni tra padre e figlia che approfondiscono tematiche riguardanti le persone, la natura, le istituzioni. Alla base delle chiacchierate (introduzione 5-12) c’è il richiamo a rispettare le opinioni altrui e l’invito ad essere prudenti nel giudicare posizioni diverse. Riconosco in queste pagine il rigore dialettico di Gianrico C. e la sua logica ineccepibile, qualità già apprezzate in numerosissime occasioni (scritti, interviste, programmi televisivi). L’introduzione, nel ricordare le modalità corrette per discutere, anticipa quanto sia costruttivo il confronto generazionale per “ non rimanere inchiodati nei confini della nostra esperienza soggettiva” e quanto possa arricchire “sospendere le nostre certezze e iniziare un viaggio negli universi stravaganti degli altri”. Attinente a riguardo è la citazione di Salvatore Allende in capo al libro: “ Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione persino biologica”.
Un primo tema di conversazione riguarda l’alimentazione: è meglio mangiare carne o essere vegetariani o vegani? (Onnivoro a chi? 13-23). L’analisi degli Autori ricalca quella emersa sullo stesso argomento a maggio 2022 in una puntata di “Dilemmi” , trasmissione televisiva curata da Gianrico Carofiglio: la decisione del vegetariano è dettata da ragioni emotive, salutistiche, ecologiche, quella di chi mangia carne è una scelta, mediata dalla circostanza che si può alternare la dieta con il pesce o con la carne non proveniente da allevamenti intensivi. Tra l’altro è difficile abbandonare completamente tradizioni culinarie in cui la carne, regina della tavola in Occidente, ha creato nel tempo un senso di appartenenza familiare e sociale. Dal confronto tra le due posizioni si può constatare la possibilità di ridurre il consumo della carne, come già avviene in generale e all’interno delle nostre famiglie.
La qualità della vita, argomentano i Carofiglio, può essere compromessa dall’ansia (L’età dell’ansia 25-37) per motivi legati al lavoro, ad una relazione amorosa, alla famiglia. I rimedi esistono e non sempre è bene tentare di farcela da soli. Sono convinta che bisogna considerare la salute mentale un bene prezioso: come si va in palestra o dall’estetista per migliorare il nostro fisico, così è bene andare dallo psicologo per essere supportati in un momento difficile e “imparare una più sana convivenza con noi stessi”. A differenza di un tempo, neanche tanto lontano, oggi si riesce a capire meglio il disagio mentale, a descriverlo e ad essere aiutati anche con il sostegno di farmaci. I giovani accettano più degli adulti la loro fragilità, per questo quando avvertiamo che un figlio sta male dobbiamo superare l’impressione di aver fallito come genitori e non vergognarsi , ma pensare che una terapia può risolvere una fase difficile o dolorosa. Un problema nel nostro Paese è rappresentato dalle carenze di risorse del servizio sanitario per fronteggiare adeguati percorsi terapeutici. Gli Autori riferiscono che il bonus psicologico, introdotto per la prima volta nel 2022 con un budget per 16.000 assistiti è stato richiesto da più di 100.000 persone. Il nostro gruppo di lettura ha ben conosciuto questa situazione per merito della discussione su “tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli.
Nella trattazione di padre e figlia sul clima (Non piove governo ladro 39-57) sono ancora i giovani i soggetti prevalentemente coinvolti perché su questo argomento hanno una sensibilità accentuata dalla immedesimazione in una realtà a loro molto vicina. È molto condivisibile la riflessione sul fatto che siamo ostaggio dell’ “euristica della disponibilità” , una locuzione che sintetizza l’angoscia per eventi disastrosi poco probabili ma enfatizzati dai massmedia , a fronte dell’assenza di preoccupazione per grandi rischi meno spettacolari come il cambiamento climatico. I giovani invece vedono questo pericolo e lottano (vedi il movimento fridays for future nato dall’ attivismo di Greta ) per un futuro che prevedono incerto per la crescita in questi ultimi decenni delle emissioni dei gas serra senza provvedimenti efficaci. Ormai non serve trovare colpevoli, il passato è passato, c’è bisogno invece della responsabilità di tutti per cambiare le cose e assicurarsi un futuro decente. Mi sono soffermata sul rigore di quest’ultimo concetto e soprattutto sulla differenza ben dettagliata (immagino da chi dei due autori…) tra colpa e responsabilità. La prima, individuale o di una generazione, è difficile da determinare e comunque non serve, è inutile; la responsabilità invece guida l’azione in vista della soluzione dei problemi, rappresenta il dovere di prendere sul serio i fatti , di partecipare, di agire. È riportato l’ esempio delle popolazioni agricole del nord Europa che colpite negli anni , da molto tempo, dalla durezza delle condizioni climatiche con basse temperature e umidità e conseguente perdita di raccolti, si sono consorziate con scambi solidali fra comunità e hanno sviluppato politiche economiche inclusive. Non a caso queste società presentano un alto senso civico ed un elevato livello dello stato sociale.
“La parità di genere sarà finalmente raggiunta quando ci saranno donne mediocri dovunque. In posizioni importanti, prima di tutto: direttrici di giornali, ministre, scienziate, primarie, imprenditrici, capi di stato e dirigenti di azienda”. L’apertura del capitolo riguardante l’universo femminile ( non a caso intitolato “Femminili plurali” 59-71) all’inizio mi è sembrata provocatoria, ma coglie nel segno perché la mediocrità maschile si riscontra dovunque, molto più di quella femminile. Le motivazioni esposte mi convincono della vacuità del femminismo là dove ha portato avanti lotte per rendere più visibili donne eccezionali, capaci di occupare posti di potere, mentre la strategia per la parità di genere deve essere quella della normalizzazione e non dell’eccezione. Sono d’accordo sul fatto che le quote di genere ( non chiamiamole “rosa” per carità scrivono i Carofiglio) non bastano per sanare le ingiustizie di un sistema che per secoli ha marginalizzato la posizione delle donne. È necessario cambiare lo schema sociale disegnato finora per gli uomini, cominciando per esempio da una precisa condivisione del lavoro di cura e di assistenza dei figli per concludere in una società in cui le diversità non diventino motivo di disuguaglianza. Nella diatriba linguistica su il presidente o la presidente, tanto discussa in occasione dell’avvento del governo Meloni, concordo nell’invito degli Autori ad utilizzare al femminile i nomi delle professioni (come si fa tranquillamente per infermiera e maestra): avvocata , ingegnera, chirurga, magistrata.
Nel capitolo successivo ( Ho tanti amici gay 73-85) gli Autori argomentano sulla libertà di espressione e sui diritti delle minoranze, valori fondamentali che la Costituzione riconosce ma che la nostra società in molti ambiti fa fatica ad accettare e tutelare. Assistiamo quotidianamente a discriminazioni, pregiudizi, forme di bullismo e di violenza nei confronti di omosessuali. Abbiamo letto qualche mese fa dell’ ostracismo – citato anche in questo libro- che la Mazzucco racconta in storia di Brigitte, a proposito di un suo romanzo che narra di una famiglia con due padri (Sei come sei). I conservatori ben pensanti, vantando etiche inesistenti, si appellano retoricamente alla natura, ma la natura non c’entra, è neutra: comportamenti omosessuali si osservano nel mondo animale fra i pinguini, i gatti, i cani, i cigni, gli elefanti, i delfini. Il mio pensiero va a quelle persone, anche del mondo dello sport, dello spettacolo, della politica, che decidono di fare coming out rendendo visibile qualcosa di loro così intimo e personale, penso al coraggio di volersi liberare da pesi e da sotterfugi … e penso anche, mutuando la riflessione dei Carofiglio (forse di Giorgia?) all’inizio del capitolo “femminili plurali” che il giorno in cui non ci saranno più coming out e sarà diventato visibile tutto ciò che oggi non lo è, la nostra comunità avrà raggiunto un soddisfacente livello di civiltà e di democrazia.
L’argomento prevalente del capitolo “ Non lavorare stanca “ (87-97) è il lavoro giovanile che quando c’è è spesso privo di significato o di progettualità. C’è tanta disillusione e tanto sfruttamento nel mondo dei giovani in cerca di lavori che rispecchino le loro attitudini e i loro interessi. I frequenti fallimenti generano scontento, ribellione e senso di colpa. Mi ha fatto riflettere la citazione riportata del filosofo Michael Sandel su “la retorica dell’ascesa “secondo cui chi si sforza e lavora duramente può crescere fin dove lo porteranno doti e forza di volontà. Questo principio, che è poi quello del merito (tanto discusso in Italia da qualche mese) può reggere in un periodo di prosperità e di crescita diffusa sul territorio, ma crolla nei momenti di stagnazione e di rallentamento economico come quelli che stiamo vivendo. Nè è sufficiente, spiegano gli Autori, un esclusivo supporto di previdenza sociale: è necessario un progetto di benessere collettivo in cui i giovani possano ripensare il loro modo di diventare adulti. Si tratta di risolvere problemi strutturali, di impostare strategie politiche con al centro la giustizia contributiva, il rispetto in quanto cittadini, la tolleranza di differenze e fragilità… Questi concetti a lungo sbandierati da più parti sono ancora lontani dal concretizzarsi in modo soddisfacente, ma ciò che a noi sembra un miraggio in molti paesi europei fanno parte da tempo di un vissuto quotidiano.
La difficoltà con cui il benessere generale si fa strada nel nostro paese fa sì che i giovani (considerando tali i soggetti tra i 18 e i 34 anni) siano sempre più sfiduciati tanto da far registrare la percentuale più alta per astensione dal voto rispetto ad altre fasce di età (Cambiare gioco 99-115). La conseguenza è che i giovani sono sempre meno rappresentati, alimentandosi così un circolo vizioso, mentre cresce il loro sdegno e la loro indignazione. A proposito di questi due termini (che io ho erroneamente considerato finora sinonimi) ci arriva dal testo una argomentata differenza, anche se entrambi contengono il concetto di risentimento. Lo sdegno esprime la rabbia, il disprezzo verso “gli avversari” e da’ una specie di gratificazione in chi lo esprime. L’indignazione è la ribellione a ciò che offende la dignità propria e degli altri, ma è un “rifiuto attivo” di ingiustizie e torti. Perciò le invettive non servono, come non serve la fuga dalle responsabilità, ne’ il rancore verso le generazioni più anziane che diventa pericolosamente un alibi. Bisogna elaborare lo sdegno mutandolo in energia per agire. Basta piagnucolare, si è cittadini non per la mera titolarità di diritti formali ma per l’esercizio dei doveri, per il rifiuto dell’indifferenza, per il coraggio di prenderne parte. Adoro questo capitolo più degli altri perché condanna il qualunquismo di “tutto fa schifo, non c’è più speranza, vi siete mangiato tutto” e propone invece un progetto nuovo che riavvicini i giovani alla politica e all’impegno, realizzando una visione comune in cui la convivenza migliori per tutti. Condivido la critica sia ai politici, ai quali manca “ un’ecologia dei comportamenti “ che non fa riconoscere gli errori e li pone in condizione antidemocratica (la democrazia prevede la possibilità di rivedere una posizione o decisione), sia alla sinistra che non si oppone in modo costruttivo alle disuguaglianze, alle ingiustizie, alle crisi climatiche, alla povertà.
L’ora del caffè mi è molto piaciuto perché in poche pagine ma con ragionamenti chiari e correnti accende un faro su problematiche molto attuali, di cui si parla tanto ma la cui soluzione da parte degli apparati di governo è nei fatti poco esplorata e perciò lontana nel tempo. Il libro attesta la sensibilità degli Autori, il coraggio delle loro idee e la possibilità che “generazioni incompatibili” così come definite nel sottotitolo del libro, diventino generazioni che si parlano, facendo valere le proprie ragioni in un rapporto reciproco sereno. Il testo è caratterizzato da un linguaggio chiaro e appropriato e fa comprendere bene quanto sia importante l’uso delle parole. Inoltre è ricco di citazioni che ne esemplificano maggiormente i contenuti: il principio di carità interpretativa(9), la capacità negativa (10), il volontarismo magico(36), l’euristica della disponibilità (42), la retorica dell’ascesa (91).
Daniela C.
Si tratta di un breve saggio psico-socio-politico. In un centinaio di pagine si affrontano diversi argomenti, molto attuali, prevalentemente sociali, in modo sintetico. Il libro contiene molte citazioni e vi è una ricca bibliografia finale di ben 12 pagine.
Gli argomenti presi in esame sono certamente complessi, alcuni dei quali sviluppati in modo opinabile, a volte molto semplificato e di non sempre facile interpretazione.
Gli autori ci esortano a riflettere: “ad allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza”(cita le parole del poeta inglese John Keats e la nozione di capacità negativa)… accettando punti di vista diversi dal nostro”(pag. 10) “…per scongiurare che la tendenza che è in tutti noi di ritenere che la nostra sia l’unica realtà…Allora ecco: è tempo di sospendere le nostre certezze e iniziare un viaggio negli universi stravaganti degli altri” (pag.12).
Il titolo appare, invece, ridimensionare l’approccio alle varie tematiche riducendole a chiacchiere da pausa caffè, mentre il sottotitolo risulta fuorviante ed ingannevole, in quanto immaginavo di leggere una discussione tra padre e figlia, più o meno animato, come può capitare nella vita reale.
Gli autori hanno cercato di descrivere le tematiche combinando i punti di vista di due generazioni messe a confronto: generazione Boomer e i Millennials (Io mi collocherei tra i Boomers e quelli della generazione successiva), ma idee contrastanti si possono avere anche in un gruppo omogeneo per età, a prescindere dalle generazioni di appartenenza.
Non penso che ci siano, a mio giudizio, scontri generazionali inevitabilmente “incompatibili” ed “insormontabili”.
E’ vero che possono sussistere difficoltà nella comunicazione tra genitori e figli e attualmente si avverte di più il salto generazionale in una società sempre più dinamica e fluida, dove i cambiamenti culturali e tecnologici sono senz’altro più veloci.
Negli argomenti trattati non condivido riguardo ai cambiamenti climatici la descrizione del sessantenne che – secondo gli autori – mostra o ha mostrato in passato un atteggiamento disinteressato, irresponsabile ed è colpevole della situazione attuale (pagg. 51-52-54). Penso invece che la generazione di mezza età si preoccupi da anni dell’emergenza climatica, e siano angosciati nel lasciare un pianeta, un ambiente “distrutto” ai propri figli e nipoti. Comunque nelle pagine successive del capitolo vi sono riflessioni interessanti e con l’aiuto di filosofi, poeti, scienziati, sociologi ed economisti dallo stato di colpevolezza si arriva al senso di responsabilità e comunità per raggiungere proposte di soluzioni collettive.“La responsabilità guida l’azione invece di cercare colpevoli.” (pag.53) “Come creare le condizioni che facciano emergere un autentico senso di comunità da cui derivino le necessarie azioni collettive?” (pag.54).
La problematica è vasta e non risolvibile in poche pagine.
Mi piace comunque la riflessione riportata alla fine del capitolo dell’economista Luciano Canova: “fronteggiare fenomeni estremi cooperando diventa dunque la strategia dominante all’insegna di un bene collettivo” (pag 55).
Credo che per superare l’emergenza climatica occorrerebbe una volontà collettiva di cambiare le abitudini di vita, interagire con il nostro ambiente cercando soluzioni tecnologiche non distruttive.
Il comune denominatore che ho riscontrato nei sette capitoli ed in tutti gli argomenti presi in considerazione è che “bisogna rifiutare l’individualismo pernicioso e tornare ad accettare la nostra interdipendenza, l’idea che il benessere non è un obiettivo individuale ma comune…” (pag. 96). “Occorre una terapia collettiva: non soli, né colpevoli per le nostre sofferenze, ma pronti ad agire insieme per guarirle” (L’età dell’ansia, pag. 37). “Il fine ultimo è una società realmente solidale e coesa, che sa tollerare le differenze e le fragilità” (Cambiare gioco, I giovani non amano la politica, pag.97).
Un libro che può aiutare a riflettere, anche se con prospettive talvolta puramente teoriche.
Francesca E.